
L’allarme sui rischi per la tenuta sociale di un Paese bloccato dall’emergenza sanitaria era arrivato soprattutto da Sud, con le segnalazioni da Palermo e Napoli su qualche episodio-scintilla che potrebbe annunciare tensioni più ampie. Ma è da settimane che da Nord a Sud Comuni piccoli e grandi intervengono con mezzi propri, e con le associazioni del Terzo settore, per aiutare i soggetti e le famiglie più fragili (si veda anche l’aeticolo a pagina 27). Spesso con raccolte alimentari auto-organizzate. Perché l’emergenza sanitaria ha chiuso anche mense sociali e centri diurni, e ha complicato la vita alle reti di welfare locale e all’attività quotidiana dei servizi sociali.
Nascono da qui le decisioni di sabato scorso: lo sblocco degli anticipi ai Comuni da 4,3 miliardi, erogati ieri dal Viminale, e i 400 milioni mossi dall’ordinanza della Protezione civile. Anche in questo caso si tratta tecnicamente di una «anticipazione», perché un’ordinanza non può generare nuove risorse (e nemmeno una legge, per ora, fino alla prossima autorizzazione del Parlamento sull’extradeficit).
Buoni spesa o acquisti diretti
Ma al «ristoro», evocato dal primo comma dell’ordinanza che sta creando parecchia agitazione nelle amministrazioni locali, dovrà pensare il decreto Aprile rabboccando i fondi della Protezione Civile. Non le singole amministrazioni. Che stanno mettendo in campo due modalità di utilizzo: il buono spesa da utilizzare presso i supermercati che accettano di entrare nella partita, oppure l’acquisto diretto di generi alimentari da consegnare alle famiglie in difficoltà. Le due strade saranno spesso utilizzate contemporaneamente dai Comuni, sulla base delle valutazioni dei servizi sociali: perché nelle famiglie più problematiche la consegna diretta dei generi alimentari è il modo più sicuro per evitare che il buono non venga speso per beni di prima necessità. Per far partire gli aiuti i Comuni devono definire l’elenco dei beni di prima necessità e fissare l’elenco degli esercizi commerciali coinvolti, oltre a indicare i criteri di assegnazione degli aiuti. In molti casi si tratta però di continuare attività già in corso. Con modalità varie. A Genova il buono varrà intorno ai 100 euro e ne sarà destinato uno a ogni componente della famiglia in difficoltà, a Bergamo il via libera è questione di ore, a Napoli i fondi nazionali saranno integrati con risorse locali. E in molti piccoli enti si gestirà il tutto in forma associata.
In ogni caso, il decreto Aprile è l’orizzonte a cui guarda questo che a tutti gli effetti è un intervento ponte. Il decreto atteso la prossima settimana in consiglio dei ministri dovrà portare misure più strutturali: per i Comuni, e per il welfare più in generale.
Estensione dei sussidi
Ammortizzatori e welfare, appunto, promettono di essere i protagonisti per quel che riguarda le cifre in gioco. Perché il decreto Aprile dovrà rifinanziare la maxi-spesa per gli ammortizzatori-estesi a marzo, ed allargarli ai lavoratori «saltuari» della cosiddetta “area grigia”, attraverso un nuovo sussidio, ma solo in versione temporanea. L’etichetta parlerebbe di «reddito d’emergenza», ma non si tratterebbe dell’estensione del reddito di cittadinanza. L’idea che sta prendendo piede al Mef è di riconoscere un sostegno temporaneo, uno o due mesi, intorno ai 4/500 euro al mese, proprio per aiutare queste persone colpite dalla crisi sanitaria, e senza più un’entrata, escluse dalle prime misure varate dal dl cura Italia.
Aiuti ai lavoratori “saltuari”
Il Dl 18 infatti ha messo sul piatto intorno ai 10 miliardi per aiutare circa 11 milioni di lavoratori, attraverso nuova cassa integrazione, bonus di 600 euro per autonomi e professionisti destinati a salire a 800, e altri strumenti. Da questa platea rimangono esclusi altre categorie come lavoratori saltuari, stagionali, addetti a termine non rinnovati, colf e badanti. Secondo una primissima stima dei tecnici del governo si tratterebbe di poco meno di due milioni di persone (il “nero” viene stimato dall’Istat in oltre 3 milioni di lavoratori). Il reddito d’emergenza non sarà, però, una erogazione “a pioggia” e, molto probabilmente, avrà dei paletti (anche per non agevolare il sommerso): un indicatore reddituale (forse l’Isee) e gli interessati dovranno aver svolto, anche un brevissimo, periodo lavorativo (nel 2019), e aver quindi subito la contrazione del reddito nei primi mesi del 2020, legata all’emergenza sanitaria. Sul piatto l’esecutivo è pronto a mettere 1 o 2 miliardi. Le somme (4-500 euro al mese) potrebbero arrivare cash, oppure, come ha lasciato intendere, il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, sotto forma di pagamento di bollette o affitti. Il nuovo strumento, ha aggiunto Marco Leonardi, consigliere economico del ministro Roberto Gualtieri, «dovrà fornire un sostegno immediato alle persone, ma poi andrà collegato ad altre misure per un successivo accompagnamento al lavoro».
Nuove risorse per i comuni
Nel caso dei sindaci, tutte le misure sul tavolo rispondono alla logica di concentrare soldi sulla gestione dell’emergenza. Per questo si studia un fondo una tantum – si ragiona su 3 miliardi di euro in un conto che però coinvolgerebbe anche le Regioni e uno sblocco ulteriore degli avanzi di amministrazione. A convogliare risorse sulla spesa corrente dovrebbero poi intervenire le anticipazioni di Cdp: che potrebbero arrivare fino a 8/12 delle entrate senza vincolare gli anticipi extra al pagamento delle vecchie fatture (obiettivo per il quale il tetto a 3/12 delle entrate si è rivelato fin troppo ampio). Nel menu Cdp rimane poi la sospensione dei mutui, che potrebbe liberare fino a 1,8 miliardi di spesa corrente. Ma anche per questo serve un sostegno per garantire l’equivalenza finanziaria a Cdp.
Verso lo stop ai tributi locali
Per venire incontro a imprese e famiglie in difficoltà si fa largo poi la sospensione dei tributi locali, con la possibilità per i Comuni di stoppare i versamenti fino al 30 novembre. Anche se nella maggioranza c’è chi preferirebbe uno stop generalizzato per legge, con un calendario più stretto che però arrivando a luglio bloccherebbe l’acconto Imu del 16 giugno e le prime rate Tari. Questa strada sarebbe più facile da comunicare sul piano politico, ma più impegnativa da coprire con il sostegno finanziario di Cdp, che sarebbe accompagnato da una garanzia statale per chiudere il cerchio.
CAMPANIA
Ha bisogno di cibo una persona su 10
Il Coronavirus fa crescere a macchia d’olio l’area del disagio sociale. Al Sud, nuovi poveri si aggiungono a quelli già censiti: per l’Istat nel 2018 erano pari al 10% le famiglie in povertà assoluta nel Mezzogiorno.
L’epidemia da Coronavirus, i conseguenti provvedimenti di chiusura delle fabbriche e l’obbligo di rimanere ciascuno nei propri comuni, hanno paralizzato il popolo dei lavori “alla giornata”, quasi sempre a nero. Un esercito non ben definito né censito, ma senza dubbio finora non classificato in “povertà” poiché, sebbene in modo illegale e quindi biasimabile, era capace di provvedere a sè e alla propria famiglia.
I casi sono numerosissimi e ci si imbatte in essi quotidianamente. L’artigiano, il parcheggiatore, il runner…. E ancora, la colf, il giardiniere, l’imbianchino, la baby sitter, quasi sempre senza contratto di lavoro. Si aggiungono 10mila braccianti stranieri senza permesso di soggiorno impiegati nel settore agricolo tra le province di Caserta e Napoli e senza alcuna forma di tutela e protezione dal Covid19.
Conferma l’assessore ai servizi sociali del Comune di Napoli, Monica Buonanno: «Scopriamo in questi giorni una nuova area di fragilità. Persone che si trovano in una situazione non prevista. Abbiamo chiesto ai servizi sociali un censimento». Gli stessi servizi sociali di solito si prendono cura di una platea diversa: disabili, poveri, senza dimora. E oggi devono rivedere le proprie anagrafiche. Lavoro utile anche per la distribuzione dei sussidi che i Comuni dovranno elargire nei prossimi giorni. A Napoli dei 400 milioni stanziati dal Governo andrà una fetta di 7,5 da assegnare sotto forma di aiuti alimentari e di beni di prima necessità.
Per Coldiretti Campania in Campania sono oltre 530mila le persone che hanno bisogno di aiuto per mangiare, pari a quasi il 9% della popolazione. «Chiediamo ai sindaci di destinare le risorse all’acquisto di prodotti alimentari italiani e da filiera agricola del territorio – dice Gennarino Masiello, presidente di Coldiretti Campania –Le nuove risorse rese disponibili per buoni spesa, o generi di prima necessità possono sostenere l’economia agricola regionale». Nei giorni scorsi il presidente della Regione Vincenzo De Luca aveva detto: «Garantire la salute, garantire anche il pane». E il sindaco Luigi De Magistris aveva invocato un reddito di quarantena. La diffusione del disagio ha fatto crescere in maniera esponenziale e ammirevole la catena di solidarietà.
Ma si teme anche che il protrarsi della crisi possa generare problemi di ordine pubblico. La Questura di Napoli non segnala rivolte e timori per l’ordine pubblico.
Lancia un allarme Sos Impresa, nata insieme ai Comitati antiracket. «È indispensabile aiutare le imprese sane e le famiglie a non finire nella rete della criminalità – dice il presidente nazionale Luigi Cuomo – Questa è già pronta ad investire. Anzi, sta già tentando di acquisire imprese al 50% del valore stimato. Abbiamo segnalato dei casi. Sono all’attenzione della Magistratura e dei Servizi».
Così le mafie tenteranno di strumentalizzare il disagio sociale trasformandolo in protestaI Ros: infiltrazioni nell’economia di Toscana, Friuli, Lazio, Umbria, Veneto
Il rischio che la ’ndrangheta sfrutti a proprio vantaggio la crisi dovuta all’emergenza coronavirus è reso concreto dagli “alert” registrati dall’Antimafia nelle ultime settimane. Da una parte il lockdown dell’industria può favorire la «colonizzazione criminale» di ampie fette di mercato e la manipolazione di appalti soprattutto nel Centro-Nord, dall’altra si fa largo l’ipotesi che le organizzazioni criminali possano fomentare al Sud forme di protesta sociale, facendo leva sulle difficoltà economiche di ampie fette di popolazione.
Le analisi dei carabinieri del Ros ricostruiscono la forza delle mafie e, in particolare, della ’ndrangheta, dotata di un «assetto organizzativo» fluido e in grado di adattarsi a ogni circostanza, sfruttando a proprio vantaggio anche questa emergenza sanitaria.
Ciò che emerge è un «codice della colonizzazione» come spiega il comandante del Raggruppamento, il generale di divisione Pasquale Angelosanto: «È oggetto di attenzione l’eventuale salto qualitativo che la criminalità mafiosa tenterà di fare orientando strumentalmente il disagio delle imprese e dei singoli, provocato dalla crisi di liquidità, al fine di ricavarne consenso sociale».
L’attenzione si sta focalizzando in particolare sul fronte imprenditoriale. Le attuali “spie” sono soprattutto nel Centro-Nord, dove «la ’ndrangheta – illustra Angelosanto – attua un sistema di infiltrazione a seconda che si tratti di regioni dove investire capitali sporchi grazie a una rete di professionisti e imprenditori compiacenti o regioni dove risultano insediamenti di “locali” delle cosche». E così si scopre che a forte rischio di «inquinamento economico» per questa emergenza coronavirus ci sono «Friuli Venezia Giulia, Lazio, Toscana, Umbria e Veneto, ritenute utili al reinvestimento di cospicui proventi illeciti, attuato per il tramite di operatori economici che si rendono disponibili a mettere la propria impresa al servizio dei mafiosi, trasformandosi di fatto in prestanome».
Parallelamente si registra un rinforzo delle cosche in «Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, dove l’organizzazione annovera insediamenti stabili, anche vasti e sfociati nella costituzione di “locali” e sovrastrutture di coordinamento e supporto».
Sia che si tratti di aree dove investire o dove finanziare le cosche già esistenti, si registra un «progressivo orientamento – continua Angelosanto – verso settori formalmente leciti, che richiedono anche specifiche competenze tecniche, giuridiche e gestionali: esigenza, quest’ultima, che le cosche hanno mostrato di soddisfare sia tramite collaborazioni con professionisti esterni, sia avviando le proprie nuove leve a iter di studi particolarmente qualificati, onde garantirsi la diretta disponibilità di figure professionalizzate ed altamente fidelizzate dalla intima condivisione dei valori mafiosi».
Sotto stretto monitoraggio degli investigatori del Ros ci sono settori imprenditoriali oggi travolti dalla crisi dovuta all’emergenza Covid-19, che nelle prossime settimane potrebbero avere necessità di iniezioni di capitali per riprendere le attività. Si tratta di comparti produttivi su cui la ’ndrangheta ha da tempo un controllo capillare: si va dagli appalti con la Pubblica amministrazione al ciclo del cemento, della terra e dei rifiuti al commercio al dettaglio e all’ingrosso, dei trasporti e dei servizi, fino al turismo, all’industria del divertimento e alla gestione di ristoranti e bar.
Angelosanto spiega che «la disponibilità di ingenti fonti di finanziamento illecito ed una spiccata capacità di intessere relazioni con esponenti della società civile hanno permesso alla ’ndrangheta di diversificare i propri interessi. Ciò le ha consentito di mantenere un capillare e oppressivo controllo, infiltrandosi proficuamente nei meccanismi di funzionamento degli enti pubblici e degli appalti, di alterare l’andamento del mercato imprenditoriale e di monopolizzare le filiere economiche di intere aree».
FONTE :

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.