Bankitalia: «Oltre alle garanzie risorse dirette per le imprese»

Il campanello d’allarme ora lo suona anche Banca d’Italia. «Una parte delle perdite subite dalle imprese non sarà recuperabile e non tutti i debiti (assistiti da garanzie pubbliche) accesi per far fronte alla crisi saranno immediatamente ripagati al termine dell’emergenza sanitaria. Ne risentiranno la leva finanziaria delle imprese, la loro vulnerabilità e, in ultima analisi, la loro capacità di intraprendere gli investimenti necessari ad accelerare la ripresa economica». Un effetto a catena che Via Nazionale tuttavia indica come affrontare: «Questi rischi possono essere contenuti se, compatibilmente con le condizioni generali dei conti pubblici, alla concessione di garanzie si affiancheranno trasferimenti diretti alle imprese da parte dello Stato (volti a coprire, in misura da definire, le perdite di fatturato e le spese operative), operazioni condotte da veicoli finanziari pubblici costituiti per facilitare la ristrutturazione dei debiti delle aziende, incentivi fiscali miranti ad agevolarne la ricapitalizzazione». Insomma, tali provvedimenti «dovrebbero essere attentamente calibrati per commisurare il sostegno pubblico, per quanto ragionevolmente possibile, all’effettivo danno subito in conseguenza della crisi; saranno tanto più efficaci quanto più si baseranno su meccanismi semplici, trasparenti e automatici».

Ieri il capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, è intervenuto in audizione alla Camera sul Dl liquidità, e forse per la prima volta in modo così netto è stato fatto emergere un quadro di possibile intervento a valle degli interventi attraverso le garanzie pubbliche. Del resto le stime parlano chiaro: le insolvenze rispetto ai 450 miliardi di euro di garanzie pubbliche attivate dai decreti del governo – cinque volte il valore di quelle in essere a fine 2019 – «potrebbero anche superare quelli del biennio 2012-2013, quando si avvicinarono al 10 per cento» .E avverte, nuovamente: «Data la gravità della crisi e l’incertezza sui tempi e sulla rapidità della ripresa dell’attività economica, la probabilità di una futura escussione di tali garanzie sarà verosimilmente molto più elevata che in condizioni normali. Gli oneri per le finanze pubbliche, seppure distribuiti su più esercizi potranno essere significativi».

A fianco dei temi degli effetti futuri c’è il tema, molto urgente, dell’accesso ai programmi di sostegno, messi in campo attraverso il sistema bancario. In questo senso è centrale il tema dell’autocertificazione da parte delle imprese e ai requisiti di accesso ai programmi riguardo ai danni subiti per la crisi da Covid-19. «Al fine di dare immediata evidenza alle cause e alla portata delle difficoltà aziendali, una soluzione potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo esteso dell’autocertificazione della perdita di fatturato subita. Sarebbe questa un’operazione che non rallenterebbe la formulazione e l’esame della richiesta e che, se accompagnata dagli opportuni controlli ex post, potrebbe costituire un disincentivo a comportamenti opportunistici». Questo strumento – per Bankitalia – sarebbe decisivo per l’equilibrio tra due opposte esigenze, dell’erogazione rapida ed evitare che le garanzie vadano a coprire prestiti che non sarebbero restituiti. «Per attenuare il problema si potrebbe fare leva su una maggiore responsabilizzazione del potenziale prenditore, utilizzando l’autocertificazione per attestare la sussistenza dei requisiti per l’accesso al finanziamento. Rendendo più chiari i presupposti e riducendo quindi gli ambiti di discrezionalità dei soggetti finanziatori si velocizzerebbe il processo di erogazione, arginando il rischio legale per la banca». In sostanza «si dovrebbe stabilire esplicitamente che la valutazione del merito di credito è assolta con la sola verifica formale della sussistenza dei requisiti previsti dal decreto (ed eventualmente anche disapplicando temporaneamente le norme penali rilevanti)».

Rischio fallimento da sventare con report sui conti aziendali. L’amministratore dovrà predisporre documenti sull’andamento dell’impresa

Oltre ai rischi di infiltrazioni criminali (soprattutto di riciclaggio) o di truffe vere e proprie sull’autodichiarazione di accesso, la garanzia pubblica sui finanziamenti da crisi Covid pone in teoria un problema serio anche per il buon amministratore aziendale. La garanzia rilasciata dal Fondo per le Pmi – regolata dal dlgs 123/1998 – si appoggia infatti a quello che tecnicamente è un «credito privilegiato» e che quindi ha un binario dedicato, e prioritario, per la restituzione alla banca. Anche a voler prescindere dal caso di scuola che manchino alcuni dei requisiti per la richiesta, ipotesi in cui la legge del ’98 già prevede la revoca degli interventi di sostegno e una sanzione amministrativa (multa) da due a quattro volte l’importo dell’intervento indebitamente fruito, c’è da chiedersi cosa succede se, nonostante l’accesso al finanziamento, l’impresa non riesce a superare la crisi e fallisce. Il rischio (elevato) è che venga contestata la lesione della par condicio creditorum e che, dunque, gli amministratori delle imprese beneficiarie dei finanziamenti siano chiamati a rispondere di bancarotta preferenziale per aver soddisfatto debiti correnti (i cosiddetti “chirografari”) anziché restituire il finanziamento privilegiato. Nell’ipotesi di fallimento il gestore del Fondo di garanzia si insinuerà nella procedura concorsuale ed il curatore fallimentare sarà tenuto a denunciare l’amministratore dell’impresa per bancarotta preferenziale.

In proposito il decreto legge 23/2020 non contiene alcuna deroga alla normativa penale fallimentare, ma solo il congelamento delle dichiarazioni di fallimento sino al 30 giugno prossimo, un termine evidentemente troppo ravvicinato per pensare alla piena ripresa delle attività e soprattutto della sostenibilità aziendale.

L’amministratore deve perciò predisporre con la massima cura e prudenza la dichiarazione rilasciata alla banca sulle informazioni per la valutazione del merito creditizio, poi utilizzate dal Fondo di garanzia per le misure di accantonamento. E inoltre dovrà predisporre una reportistica sull’andamento economico dell’impresa per attestare nel corso del tempo la sussistenza di una situazione idonea a consentire la futura ripresa economica.

Considerata l’esigenza (per evitare responsabilità) di predisporre e registrare in modo certo una reportistica sull’andamento economico dell’impresa , uno strumento adatto di risk management sarebbe la digitalizzazione per legge dei flussi documentali e informativi delle aziende che accedono ai finanziamenti garantiti dallo Stato: uno strumento sicuro (con valore di prova legale e data certa) di archiviazione in progress delle informazioni aziendali idoneo a dimostrare la verosimile sostenibilità economica dell’attività d’impresa nel corso del finanziamento garantito.

INTERVISTA SUL TEMA:

Aiuti alle aziende, i ritardi del Governo Roma non ha ancora inviato a Bruxelles la notifica per gli aiuti alle imprese

La prima bozza era stata inviata a Bruxelles a inizio aprile e gli uffici della Commissione sarebbero pronti a dare il via libera. Ma poi non è successo più nulla. Da Roma non è mai arrivata la notifica ufficiale sugli aiuti economici alle imprese, necessaria per garantire che i finanziamenti pubblici siano in linea con le morbide regole europee che scadono il 31 dicembre. Nel frattempo, negli altri Stati membri, soprattutto in quelli con le finanze pubbliche in ordine, i “deep pocket”, sono già operative diverse misure di aiuto che contribuiscono a trasformare la crisi sanitaria simmetrica in una crisi economica molto asimmetrica, a spese di imprese e lavoratori.

L’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato è stata una delle prime misure adottate da Bruxelles, il 19 marzo, in risposta alla pandemia. Consente sussidi generalizzati alle imprese fino a 800mila euro. In Italia però sembra che solo le regioni si siano accorte di questa possibilità e hanno più volte chiesto al governo l’ attivazione rapida. L’ultima iniziativa è di giovedì scorso, 23 aprile, quando in Conferenza delle regioni su richiesta del Molise, il presidente Stefano Bonaccini ha incaricato la coordinatrice della commissione Affari europei, Donatella Tesei (Umbria), di «sollecitare il Governo a completare le procedure dell’accordo Stato Regioni e alla “notifica ombrello” in modo da consentire alle regioni l’utilizzo dei fondi comunitari per mitigare le conseguenze economiche della pandemia». In realtà la notifica coprirebbe tutti gli aiuti, non solo quelli con i fondi Ue.

Ma quella bozza si è persa, arenata nei corridoi o sulle scrivanie di qualche ministero. Vittima forse di una guerra di competenze. «La proposta è all’esame degli uffici legislativi della amministrazioni centrali» scriveva il ministro degli Affari europei, Vincenzo Amendola, il 15 aprile in risposta alle regioni e, per conoscenza ai ministri Boccia (Affari regionali), Gualtieri (Economia), Patuanelli (Sviluppo) e Bellanova (Agricoltura). Il regime quadro dovrebbe servire ad una «rapida applicazione delle norme temporanee» europee, come ricorda lo stesso Amendola, evitando che ogni regione faccia da sé. Ma evidentemente il senso di urgenza non è riuscito neppure questa volta a smuovere l’elefantiaca lentezza dell’apparato,a conferma che i fondi, pochi ma disponibili, troppo spesso restano imbrigliati in una ragnatela di competenze e di pareri, di delibere e decisioni le cui responsabilità si perdono nelle secche della burocrazia. Basta scorrere l’elenco delle autorizzazioni degli aiuti per capire quanto siano più avanti Danimarca, Germania, Svezia e altri ancora. E le regioni, intanto, per non rischiare di perdere il treno si stanno muovendo in autonomia, chiedendo in ordine sparso, il via libera Ue. Tempo, soldi e lavoro sprecati.

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