
La crisi? «L’occasione per disegnare il Paese che vogliamo». La fase 3? «Un nuovo inizio», nel segno delle parole del capo dello Stato sul «dovere di agire con lo spirito del 2 giugno». L’opportunità dei 750 miliardi del Recovery Fund e dei fondi Sure e Bei? «Dovremo coglierla e saper spendere bene le risorse, perché sulla capacità di spesa e sul progetto si misurerà la credibilità non del governo ma del sistema Italia». Nel giorno della riapertura dei confini tra le regioni, Giuseppe Conte torna a parlare agli italiani in conferenza stampa. Rivendica gli «80 miliardi stanziati in 60 giorni, pari a tre manovre di bilancio», torna a scusarsi per i ritardi e riconosce la sofferenza in particolare di alcune filiere, dalla manifattura al turismo.
Il cuore del discorso è però rivolto al futuro. A emergenza sanitaria «alle spalle», «dobbiamo concentrarci sul brand dell’Italia nel mondo», contrastare le «misure discriminatorie» di alcuni Paesi, Austria in testa, e lavorare alla ripresa. La priorità è «farsi trovare pronti» dall’Europa con un piano di rinascita. Per questo forse già da lunedì Conte convocherà gli “stati generali” dell’economia: un round di incontri a Villa Pamphili con parti sociali, associazioni di categoria e «singole menti brillanti» per «un confronto aperto sul nostro progetto». Interpellato, il premier definisce «un’espressione infelice» il monito del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, sulla «politica che rischia di fare più danni del virus», e si dice sicuro che al tavolo l’associazione degli industriali «porterà progetti lungimiranti che non si limiteranno alla riduzione delle tasse». Dal governo nessuna sovietizzazione, garantisce, ma evocando Adriano Olivetti invita le imprese ad «abbracciare prassi socialmente responsabili».
Sul piano saranno sentite anche le opposizioni. «Non intendo le somme» degli aiuti Ue «come un tesoretto di cui il governo in carica deve disporre, ma come risorse messe a disposizione dell’intero Paese», scandisce per due volte Conte. E su un eventuale rimpasto, le cui voci sono tornate a circolare dopo l’appello di Silvio Berlusconi a unità e dialogo costruttivo, chiude: «Non ha nulla a che fare con il progetto di rinascita del Paese».
Rimane deluso chi si aspettava da Conte un programma pluriennale più articolato dei sette punti del “recovery plan” italiano già anticipati. Citando en passant il documento sul rilancio del Paese che arriverà a breve dalla task force di Vittorio Colao, il premier si limita a elencarli. Conferma l’arrivo di una riforma dell’abuso d’ufficio e del danno erariale, ma chiarisce che «i controlli antimafia diventeranno ancora più severi». «Una volta superati, però, ribaltiamo la logica: vorrei che la Corte dei conti chiamasse a rispondere chi ritarda le opere». Sul fisco rimarca l’esigenza di «una reale progressività» coniugata alla lotta al sommerso» e annuncia l’arrivo per il Sud di «una fiscalità di vantaggio». Quanto alle infrastrutture, l’orizzonte è l’alta velocità di rete, «da Roma a Pescara, da Reggio Calabria a Taranto, in tutta la Sicilia, da Milano a Venezia». E sul ponte di Messina rilanciato da Matteo Renzi e da Dario Franceschini, non chiude: «Non declamo opere immaginifiche, quando ci metteremo intorno al tavolo valuterò».
Sui nodi più divisivi per la maggioranza non è risolutivo. Sul Mes, nonostante il pressing di Pd e Iv, prende ancora tempo: «Quando avremo i regolamenti li studierò, li porterò in Parlamento e decideremo insieme». Su Autostrade, pur dicendosi convinto dell’esistenza di «tutti gli elementi» per procedere alla revoca della concessione, conferma la trattativa. «Perché le proposte di transazione possano essere accettate – il messaggio ad Aspi – devono prospettare un maggior vantaggio per il concedente. Sinora non sono state considerate compatibili con l’interesse nazionale».
Nei fatti Conte offre un patto di legislatura. È il suo lasciapassare per restare al timone dell’Esecutivo anche nella fase 3. Insieme a un arrivo celere delle risorse Ue, di cui si augura «un’anticipazione più consistente» nel 2020 di quella ventilata finora.
Sì al fondo Sure da 20 miliardi per prolungare la Cassa
«Chiediamo all’Europa di partecipare al Sure e i 20 miliardi spettanti all’Italia, pari al 20% della cifra complessivamente disponibile, saranno destinati agli ammortizzatori sociali»: l’annuncio del premier Giuseppe Conte, conferma quanto anticipato ieri dal Sole 24 Ore: con le risorse europee la cassa integrazione Covid potrà essere prolungata almeno fino alla fine dell’anno.
Il presidente del Consiglio ha sottolineato in conferenza stampa l’ampia portata della proroga della cassa integrazione di ulteriori 9 settimane concessa dal Dl Rilancio, estesa alle imprese con un solo dipendente, riconoscendo però che «molti sono ancora insoddisfatti». Il problema anzitutto è che il Dl 34 ha previsto la concessione della proroga in due tranche, le prime 5 settimane da fruire entro il 31 agosto per chi ha già utilizzato tutto il plafond di 9 settimane del Dl Cura Italia di marzo, e le ulteriori 4 settimane da utilizzare a partire dal 1° settembre fino alla fine di ottobre. Tuttavia le imprese che con l’avvio del lockdown hanno dovuto chiudere i battenti e chiedere la cassa integrazione stanno già terminando le prime 14 settimane, o sono in procinto di terminarle, e si troveranno a breve senza la copertura degli ammortizzatori sociali fino al 1° settembre e senza, peraltro, poter licenziare (il blocco dei licenziamenti è stato prorogato fino al 17 agosto).
Per superare queste criticità in sede di conversione in legge del Dl 34, attualmente all’esame della Camera, si prevedono emendamenti della maggioranza: «Lasceremo spazio ad iniziative dei gruppi parlamentari – spiega Francesca Puglisi, sottosegretaria al Lavoro – per superare il frazionamento in due tranche della proroga degli ammortizzatori sociali, unendo le 5 settimane con le 4 settimane, e allungando la copertura fino alla fine dell’anno». Cancellato il termine del 1 settembre, i datori di lavoro che hanno terminato prima le 14 settimane potranno utilizzare subito le ulteriori 4 settimane, senza avere periodi scoperti. I 20 miliardi messi a disposizione per l’Italia dal nuovo strumento europeo serviranno, appunto, a finanziare questi due interventi e ad avviare un’ampia riforma degli ammortizzatori sociali, per superare le criticità riconosciute dallo stesso premier Conte. Resta da capire se Bruxelles darà il via libera alla copertura retroattiva delle ore di Cig concesse prima dell’arrivo dei fondi Sure. L’estensione degli ammortizzatori almeno fino alla fine dell’anno, è richiesto con insistenza da Confindustria e sindacati, visto che la ripresa ancora esclude molti settori produttivi (turismo, organizzazione di fiere e convegni, ristorazione, giochi) e anche per i settori riaperti (metalmeccanica, costruzioni) ci vorrà del tempo prima di tornare sui livelli produttivi pre-emergenza. Confindustria Alberghi, per citare un esempio, ieri evidenziava come il 95% delle strutture alberghiere è ancora chiuso e il 97% dei lavoratori è in attesa della Cig.
Il malcontento dei settori produttivi è legato anche ai ritardi nei pagamenti, soprattutto del Fondo di integrazione salariale e della cassa in deroga. «Bisogna proteggere tutti, fino alla fine dell’anno, con la piena copertura degli ammortizzatori sociali» ha detto il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra, sottolineando che «la tensione sociale è altissima e per disinnescarla occorre mettere in campo risorse e leve che estendano ed assicurino fino a dicembre la liquidazione e l’accelerazione di tutte le prestazioni di ammortizzatore sociale».
sulla sfida di conte pesano freni e divisioni
C’era l’eco delle parole di Mattarella nell’apertura a un confronto con parti sociali e opposizioni annunciato ieri da Conte. Li ha anche chiamati stati generali dell’economia chiarendo che le risorse che arriveranno dall’Europa non saranno un «tesoretto» a disposizione del Governo ma “del Paese” e dunque Palazzo Chigi si apre al contributo di tutti. Certo è che quel lungo elenco di riforme a cui il premier ha fatto cenno – dalla giustizia al Ponte sullo Stretto – si scontra con la realtà di oggi. Quei sussidi rimasti bloccati dalle pratiche burocratiche, la velocità che è stata lentezza, i decreti arrivati – anche questi in ritardo – e con la coda di 98 provvedimenti attuativi. Un affanno riconosciuto dal premier che ha chiesto scusa e ha spiegato perché è andata così. «L’apparato statuale non era pronto», ha detto ed è questa l’insidia che pesa non solo sul tavolo del confronto ma sulla effettiva capacità di spesa delle risorse europee.
Se il dialogo è la nuova carta che si gioca il premier in questa Fase 3, resta comunque in carico al Governo la responsabilità di una pubblica amministrazione che va adattata a un’emergenza che diventerà perfino più pesante. Il dato di quasi 400mila posti di lavoro persi in due mesi – marzo e aprile – spinge nella direzione di strutturare questo confronto al di là di quella che lo stesso vicesegretario del Pd Orlando – commentando la conferenza stampa di Conte – ha definito «una traccia da sviluppare». Come dire che c’è un salto ancora da fare che non si esaurisce nell’ascolto ma nel rendere «pronto» ai contributi un apparato che funziona a singhiozzi. Ieri, di nuovo, il premier ha annunciato una riforma dell’abuso d’ufficio e del danno erariale che andrebbero a correggere alcuni colli di bottiglia della burocrazia, ma anche qui c’è un rinvio. Il Dl Semplificazioni doveva arrivare alla fine di maggio, ora è atteso tra un paio di settimane. C’è poi il fronte politico, della maggioranza. Perché allestire un negoziato con le parti sociali vuol dire mettere sul tavolo le risorse effettivamente disponibili e invece la coalizione rimane dentro alcuni dilemmi, come quello tra Pd e 5 Stelle sul Mes. Conte ha rinviato ancora le scelte ribadendo che deciderà solo dopo aver letto i regolamenti e con un confronto in Parlamento. Ma come si può dialogare se i nodi non sono sciolti? Il rischio è di imbarcarsi in un confronto viziato dalle divisioni nella maggioranza in cui ciascuno degli interlocutori sociali o politici darà sponda a un partito o all’altro. Senza contare che il coinvolgimento delle opposizioni è rimasto vago, tant’è che Conte le ha citate solo rispondendo a una domanda. «Chiacchiere», le ha definite Giorgio Mulè portavoce di Forza Italia che dopo l’apertura di Berlusconi si aspettava un invito meno di circostanza. Per la Fase 3, insomma, non basta riaprire la Sala Verde di Palazzo Chigi.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.