LE BANCHE CENTRALI – DOPO LE DECISIONI DELLA F.E.D. DI IERI . . . COSA SUCCERA’?

LA FED :

Il “new normal” a cui dovrà abituarsi l’economia americana secondo Jerome Powell sarà un difficile atterraggio verso una ripresa che si prospetta lunga e con diversi elementi di incertezza. «La pandemia causa gravi difficoltà, c’è grande incertezza sul futuro», ha ammesso il governatore della Fed, «anche se i dati più recenti indicano una stabilizzazione dell’economia». A partire dal mercato del lavoro che la scorsa settimana è stato «positivo in modo inatteso». Nonostante ciò la disoccupazione americana «resta a livelli storicamente alti», ha detto Powell. E lo resterà ancora a lungo.

La banca centrale americana, al termine della due giorni di giugno del Federal Open Market Committee ha rilasciato le prime previsioni sull’economia e sui tassi dalla fine dello scorso anno: aveva saltato le stime di marzo subito dopo lo stop forzato dell’economia causato dal Covid-19.

Le stime economiche della Fed indicano una contrazione del Pil Usa del 6,5% nel 2020 e un rimbalzo del 5% nel 2021. Con un tasso di disoccupazione del 9,3% alla fine dell’anno e al 6,5% alla fine del 2021. Dati, nel quadro negativo generale, che segnalano tuttavia una fiducia nel rimbalzo dell’economia nei prossimi mesi dalla peggiore crisi della storia americana. Come ha confermato Powell «il calo del Pil nel secondo trimestre sarà il peggiore di sempre». Le previsioni della Fed sono migliori di quelle rilasciate da altre istituzioni, come dal non partisan Congressional Budget Office, o da molti economisti che prevedono una contrazione del Pil nel secondo trimestre superiore al 30%, con un rimbalzo nel terzo trimestre sul quale ci sono opinioni discordanti.

Oltre alle nuove previsioni economiche la Fed – come largamente previsto – ha lasciato i tassi monetari fermi vicino allo zero, in un range compreso tra 0 e 0,25%.

I massicci acquisti di T-Bond continueranno «almeno al ritmo attuale» nel prossimo futuro. La Fed «è impegnata a usare tutti gli strumenti per il tempo necessario». La banca centrale americana prevede di lasciare i tassi a zero almeno fino al 2022.

«La crisi sanitaria in corso avrà pesanti conseguenze sulle attività economiche, l’occupazione e l’inflazione nel breve termine, e pone dei rischi considerevoli alle previsioni economiche nel medio termine», è scritto nel comunicato conclusivo della due giorni del comitato monetario dei governatori.

Davanti a una crisi senza precedenti la banca centrale americana si è mossa in modo aggressivo con una serie di misure straordinarie per aiutare i mercati e l’economia reale. Powell ha agito con azioni che per portata e rapidità forse nessun predecessore aveva preso prima di lui. La Fed ha aumentato il balance sheet del 70%, portandolo a oltre 7mila mila miliardi di dollari. È riuscita a contenere le conseguenze negative della pandemia sui mercati finanziari.

Dopo i primi colpi di bazooka di Powell, dai minimi del 23 marzo gli indici a Wall Street sono ripartiti, pur in un quadro che resta di elevata volatilità.

Questa settimana l’indice S&P 500 – che da fine marzo ha guadagnato il 47% – è tornato positivo e cancellato le perdite dell’anno. Il Nasdaq addirittura ha ritoccato i record superando per la prima volta i 10mila punti. Certo il dollaro non è più visto come un rifugio sicuro in assoluto nel mondo, i rendimenti dei titoli del Tesoro Usa e gli spread dei bond corporate sono ancora bassi rispetto all’inizio della crisi del Covid-19. Insomma non è ancora il momento di tirare il fiato. Ma il peggio sembra passato. Anche se per guarire dalle ferite della pandemia ci vorrà ancora molto tempo.

LA B.C.E. :

La Bce è l’unica banca al mondo con due Qe in corso: il programma di acquisti di attività Paa, tradizionale e senza scadenza, «per far convergere l’inflazione verso l’obiettivo della politica monetaria», e il programma Pepp, d’emergenza e temporaneo, «per affrontare il fortissimo shock senza precedenti della pandemia» e «stabilizzare i mercati finanziari».I due Qe hanno una potenza di fuoco straordinaria, pari a 1.800 miliardi di nuovi acquisti fino al giugno 2021: la Bce è l’«àncora della stabilità» per l’Italia e tutti gli Stati dell’area dell’euro colpiti da questo shock comune. Philip Lane, il 50enne capo economista della Bce, membro del Board e una delle voci più ascoltate dal Consiglio direttivo e dalla presidente Christine Lagarde,in questa intervista esclusiva al Sole24Ore ribadisce che la Bce resta pronta a tutto.

La Bce non tollera la frammentazione ma la pandemia frammenta l’Eurozona, esaspera le disparità tra Paesi,tra chi ha più per difendersi, chi è più debole.L’Italia è tra i Paesi più provati.Come vede l’Italia?

La pandemia è un forte shock globale. Le proiezioni del Pil dell’Italia sono leggermente al di sotto della media dell’area dell’euro nel nostro scenario base: la Banca d’Italia vede il Pil italiano contrarsi del 9,2% quest’anno contro l’8,7% nell’Eurozona. Tutti i Paesi nell’area dell’euro attraversano un’enorme recessione nel 2020. Ma far parte dell’Eurozona migliora la capacità dei singoli Stati di rispondere a questo shock. La pandemia è comune e la Bce è la risposta comune. Questo concetto è molto importante perché è improbabile che gli Stati membri dell’euro, presi individualmente, avrebbero potuto rispondere allo stesso modo. La Bce ha risposto con fermezza per tutti, per stabilizzare i mercati a metà marzo, quando lo shock è arrivato con un’enorme dislocazione finanziaria. La Bce ha dimostrato di essere l’àncora della stabilità per bloccare sul nascere l’escalation di dinamiche che si avvitano su se stesse. Il Pepp ha avuto finora due ruoli nella pandemia: stabilizzare i mercati e bloccare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie.

Quanto grave è questo irrigidimento,che ha quasi raddoppiato il Pepp in meno di tre mesi? Vede segnali di normalizzazione?

A metà marzo il mondo si è reso conto che Covid-19 sarebbe stato uno shock veramente molto grande e i mercati finanziari hanno dovuto assorbire il tutto molto velocemente. Ma quando uno shock ha tale intensità, e un tasso d’incertezza eccezionalmente elevato, è difficile per i mercati adeguarsi in maniera ordinata e graduale. Per questo le banche centrali di tutto il mondo sono intervenute prontamente, per stabilizzare le condizioni finanziarie. L’irrigidimento comunque persiste, rispetto alla situazione pre-crisi. I mercati azionari sono su livelli più bassi e la media dei rendimenti dei titoli di Stato nell’area dell’euro è più alta rispetto a prima dello shock. E questo irrigidimento si trasmette a imprese e famiglie. Per questo abbiamo deciso di aumentare le dimensioni del Pepp la scorsa settimana. Abbiamo analizzato le condizioni di mercato e deciso di fare di più. All’inizio del Pepp,la stabilizzazione era il fattore più importante. Ora vogliamo essere certi che la stabilità permanga e al tempo stesso che le condizioni di mercato restino sufficientemente accomodanti per sostenere la ripresa dell’economia e per contrastare gli shock negativi sulla traiettoria dell’inflazione.

Ora abbiamo due Qe, il Paa e il Pepp: perché mai due programmi in contemporanea?

Prima della pandemia, dal 2015 la Bce è intervenuta in maniera continuativa per rafforzare l’inflazione e farla convergere verso l’obiettivo del Consiglio direttivo (su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio termine, ndr). Per fare questo, stavamo usando un pacchetto di strumenti: Paa, Tltro III, il livello dei tassi guida e la forward guidance. Poi è arrivata la pandemia. Le nostre previsioni indicano che questo shock ha un impatto significativo negativo sull’inflazione. Quindi,riguardo ai ruoli dei due programmi, Paa e Pepp, possiamo tracciare una netta distinzione: sullo sfondo, abbiamo gli strumenti tradizionali della nostra politica monetaria. Ma per affrontare lo shock pandemico,che è senza precedenti ed è molto forte, abbiamo avuto bisogno di uno strumento aggiuntivo e temporaneo. Ha senso avere due programmi di acquisto, uno “tradizionale” e uno pandemico. Il Pepp interviene contro l’irrigidimento provocato da questo shock. Tuttavia, quando la crisi del Covid-19 sarà passata, l’inflazione continuerà a essere lontana dal livello del nostro obiettivo e per questo il programma Paa si renderà ancora necessario: il Paa tradizionale è open-ended, cioè con una scadenza legata allo stato delle condizioni: il suo orizzonte è condizionato dal momento in cui il Consiglio direttivo avrà la percezione di un’inflazione che converge saldamente al nostro obiettivo.

Il Consiglio ha deciso di reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza almeno sino alla fine del 2022. Una durata temporanea molto molto lunga…

Alla nostra ultima riunione abbiamo esteso il Pepp al giugno 2021, ma in ogni caso condurremo gli acquisti netti di attività finché non riterremo conclusa la fase critica legata al coronavirus. Giugno 2021 è una data che allinea sostanzialmente il Pepp all’orizzonte temporale di altre misure pandemiche, come il programma mirato Tltro e i nuovi criteri sul collaterale. In quanto al reinvestimento del Pepp sì, abbiamo annunciato che durerà almeno fino alla fine del 2022. Con questo, vogliamo accertarci che la strategia del reinvestimento ci consentirà di evitare un irrigidimento non voluto delle condizioni finanziarie nel corso della ripresa dallo shock pandemico. È altrettanto importante che la gestione della riduzione del portafoglio della Bce non interferisca con l’orientamento prevalente di politica monetaria. Inoltre, è alquanto appropriato che il reinvestimento del Pepp rifletta la natura temporanea di questo programma e che lo leghi all’emergenza pandemica. La fine del 2022 è una guida ragionevole a questo tipo di orizzonte, un orizzonte che coincide tra l’altro con le nostre proiezioni macroeconomiche.

Il reinvestimento del capitale dei titoli nel Qe iniziato nel marzo 2015 è in corso. E in Italia c’è chi spera che i reinvestimenti dei titoli di Stato andranno avanti per sempre, una sorta di monetizzazione del debito.

Il livello dei tassi d’interesse necessario per l’economia mondiale è molto più basso adesso rispetto a 25 anni fa. E questa non è una peculiarità della Bce o dell’area dell’euro. Il motivo per cui i tassi d’interesse sono così bassi ha a che fare con molti fattori, tra i quali la demografia e la produttività. In questo momento queste forze stanno esercitando una pressione al ribasso sull’inflazione. Le banche centrali su scala mondiale stanno contrastando questa bassa inflazione e per farlo hanno avviato programmi di acquisto di attività. Ma le azioni delle banche centrali sono sempre motivate dal mandato della politica monetaria: nel momento in cui le previsioni sull’inflazione cambieranno, le politiche delle banche centrali si adatteranno di conseguenza. Non sappiamo dove saranno i tassi d’interesse in futuro perché non sappiamo dove sarà l’inflazione tra 3,5 o 10 anni. I sostenitori della monetizzazione del debito ritengono che le banche centrali terranno in portafoglio i titoli di Stato a qualsiasi condizione. Ma non è così. E comunque, il Trattato non ci consente di monetizzare il debito pubblico.

I tassi d’interesse hanno in effetti raggiunto livelli record: fino a -1% sulle TLTRO III. Questo significa che un taglio dei tassi non è più possibile?

Il nostro tasso principale, quello sui depositi, è a -0,50%. Il tasso -1% è offerto alle banche che raggiungono certi livelli di prestiti nell’ambito delle TLTRO ed è dunque un incentivo a mantenere il flusso del credito a imprese e famiglie. In quanto alla nostra politica sui tassi, siamo pronti ad adeguarla se necessario, e questo vale per tutti i nostri strumenti. Il nostro ultimo taglio dei tassi risale allo scorso settembre. In questa situazione, caratterizzata da un’incertezza eccezionale e con i mercati finanziari ancora in parte sotto stress, gli acquisti di attività con il Pepp hanno dato prova di essere uno strumento particolarmente efficace, e per questo ci siamo focalizzati sul Pepp nelle ultime decisioni.

Siete soddisfatti dell’esito delle misure per la liquidità, TLTRO, Peltro e bridge Ltro, stimate dal mercato oltre 1000 miliardi?

Una parte importante di questi programmi è incentivare le banche a prestare a imprese e famiglie, anche quando i rischi salgono. Lo abbiamo fatto per esempio con le misure sul collaterale, per consentire alle banche di prestare di più all’economia reale. Siamo una banca centrale moderna, riconosciamo quanto sia importante che le piccole imprese, le Pmi e le famiglie abbiano accesso al credito. Faremo tutto il possibile per evitare che questa crisi venga peggiorata dal credit crunch.

FONTE : IL SOLE 24 ORE

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