
Visto l’esito del voto al Senato (dove il governo ha ottenuto la fiducia con soli 95 voti, e senza l’appoggio di Forza Italia, Lega e Movimento 5 Stelle), Mario Draghi è saito al Quirinale oggi, giovedì 21 luglio, e ha confermato le sue dimissioni al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Ecco i prossimi passaggi:
Le consultazioni
Il presidente della Repubblica potrebbe non passare da un giro di consultazioni con i presidenti di Camera e Senato e con i partiti e sciogliere subito le Camere. Come indicato da Marzio Breda:
«Nel gennaio 1994 Scalfaro sciolse le Camere e chiuse la legislatura dopo appena due anni senza neppur fare le consultazioni con i partiti. Accadde quando l’allora premier Ciampi, alla guida di un esecutivo tecnico di larghe intese (passato e presente, tutto si tiene), fu minacciato di sfiducia in Aula ma, prima del voto, quell’iniziativa fu trasformata in mozione di fiducia dagli stessi proponenti. A premere per la cacciata erano le sinistre, convinte di avere in tasca la vittoria alle urne, e l’area del cosiddetto partito dei giudici, visto che quello era il «Parlamento degli inquisiti». Ciampi salì al Colle, pronto a mollare ma incerto. Scalfaro tagliò corto e chiuse la partita, lasciandolo a gestire Palazzo Chigi fino all’insediamento del nuovo governo, in maggio. Per inciso: le elezioni, il 28 marzo, le vinse Berlusconi».
Sabino Cassese, presidente emerito della Corte costituzionale, ha scritto invece sul Corriere che, vista la fiducia comunque accordata dal Senato al governo, il capo dello Stato potrebbe sciogliere il Parlamento solo passando da consultazioni con i presidenti di Camera e Senato, perché in quel caso il presidente della Repubblica si metterebbe «in una posizione superiore all’organo stesso che l’ha scelto, e alla volontà popolare che rappresenta».
Pieni poteri o «affari correnti»?
Draghi rimarrà in carica fino all’arrivo del nuovo governo, dopo le elezioni politiche.
E rimarrà in carica per il «disbrigo degli affari correnti».
Con quali poteri? Secondo la prassi c’è un’autolimitazione del governo che non ha più la pienezza dei poteri. Non ha capacità programmatica. Quindi non si fanno disegni di legge (Finanziaria inclusa), non si approvano decreti legislativi (come quelli della riforma fiscale e della riforma della giustizia), salvo eccezioni imposte da scadenze imminenti (il Pnrr). Niente nomine. Si concludono le attività già in corso e, al bisogno, si affrontano imprevisti. In caso di emergenza si possono emanare decreti legge. Draghi, che resterebbe in carica fino al giorno del giuramento del nuovo governo, compirebbe un atto esplicito di autolimitazione.
C’era, in realtà, una seconda opzione. Mattarella avrebbe potuto rifiutare le dimissioni e sciogliere le Camere. In questo caso Draghi sarebbe stato ancora nella pienezza dei poteri e lo resterebbe fino al nuovo governo, secondo l’articolo 92. E avrebbe potuto emanare disegni di legge e decreti legislativi e anche fare nomine».
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.